“Distopia” è una parola molto in voga, al giorno d’oggi.
Sentiamo spesso parlare di fantascienza distopica, film distopici, serie TV distopiche, e addirittura di realtà distopica (visto che gli ultimi avvenimenti mondiali ci hanno fatto precipitare in uno scenario quasi apocalittico).
Ma, alla fine… che vuol dire distopia?
Sono proprio qui per spiegarvelo! Mi chiamo Robert e sono uno dei tre autori della saga Stargarden. Come dicono i nostri personaggi: «Ex tenebris» a tutti, e… addentriamoci nei segreti della distopia.
Distopia: etimologia
L’etimologia di “distopia” deriva dal greco antico, ma questo non vuol dire che fosse un termine già utilizzato nel periodo classico. È invece uno di quei casi in cui una lingua morta viene impiegata per coniare un neologismo.
A quando risale? Secondo l’Oxford English Dictionary, fu ideata nel 1868 dal filosofo John Stuart Mill.
L’etimologia di “distopia” è formata da due componenti:
- il prefisso “δυς-” (dys), che annulla il significato positivo delle parole a cui si unisce, dando al termine un senso di contrarietà, difficoltà e dubbio. Si trova in molti termini moderni, soprattutto nel lessico medico, e indica sempre alterazioni, malformazioni e anomalie (es. “dispnea”, “distrofia”, “disfunzione”, “disartria” ecc.).
- “τόπος” (topos), che vuol dire “luogo”.
Etimologicamente parlando, la distopia indica quindi un luogo negativo, anomalo, alterato.
che vuol dire Distopia? definizione
Ma che vuol dire distopia, nel concreto?
Una buona definizione potrebbe essere “la distopia è una rappresentazione pessimistica del futuro, in cui si immaginano (o predicono) sviluppi negativi dell’assetto sociale, politico e tecnologico della civiltà umana“.
Fin dal suo esordio, questo termine si contrappose alla parola “utopia”. Vediamo, nel dettaglio, il brano del discorso che John Stuart Mill fece alla Camera dei Comuni nel 1868, introducendo per la prima volta il termine nella lingua inglese (in relazione ai suoi oppositori politici):
“It is, perhaps, too complimentary to call them Utopians, they ought rather to be called dys-topians, or caco-topians. What is commonly called Utopian is something too good to be practicable; but what they appear to favour is too bad to be practicable.”
Ovvero:
“Forse è troppo lusinghiero chiamarli utopisti, dovrebbero piuttosto essere chiamati dis-topici o caco-topici. Ciò che viene comunemente chiamato utopico è qualcosa di troppo bello per essere praticabile; ma ciò a cui loro si mostrano favorevoli è troppo brutto per essere praticabile”.

La citazione è tratta dall’Oxford English Dictionary.
Per quanto riguarda l’antitesi tra utopia e distopia, vi rimando all’articolo Utopia e distopia sono davvero concetti opposti?
Distopia: esempi pratici
E ora, entriamo nel cuore della distopia. Etimologia e definizione hanno fornito una prima risposta alla domanda «Che vuol dire distopia?», ma da sole non bastano. Dobbiamo anche capire, con esempi pratici, la natura di una storia distopica.
La letteratura distopica nasce nel XIX secolo, ma esplode nel XX secolo. Non è difficile immaginare i motivi del suo successo presso il pubblico novecentesco: la crescente urbanizzazione, il lavoro alienante nelle fabbriche, la tecnologia sempre più invasiva e l’affermarsi dei regimi totalitari crearono una visione del futuro fortemente pessimista.
I primi romanzi distopici
Diamo un’occhiata ai primissimi romanzi appartenenti al genere:
- “I cinquecento milioni della Bégum” (1879) di Jules Verne, dove troviamo una forte contrapposizione tra l’utopica società di France-Ville e la distopica città industriale di Stahlstadt (dal tedesco “città d’acciaio”).
- “Il risveglio del dormiente” di H.G. Wells, tratto dalla storia a puntate “When the Sleeper Wakes”, pubblicata tra il 1898 e il 1899. Il dormiente del titolo è un uomo di nome Graham, che si risveglia dopo un sonno durato 203 anni e si ritrova in una Londra distopica.
- “Il tallone di ferro” (1907) di Jack London, romanzo fantapolitico antitotalitario. La protagonista Avis Everhard vive in una società dominata da un’oligarchia dittatoriale, che tiene in ginocchio la povera gente degli Stati Uniti.
I romanzi distopici più celebri
Tra i romanzi distopici più rappresentativi citerei senza dubbio “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley (1932) e “1984” di George Orwell (1949).
- “Il mondo nuovo” descrive una società dominata dal mito di Henry Ford e della produzione in serie. Il computo dei secoli è stato azzerato al 1908, quando è stata prodotta la prima Ford Model T. I fatti si svolgono nell’anno di Ford 632, corrispondente al nostro 2540. Il simbolo della “T” ha sostituito la croce cristiana, lo studio della storia è considerato inutile e dannoso, la riproduzione umana è extrauterina e avviene in apposite fabbriche. Tutta la società è divisa in caste, che prendono forma nel momento stesso in cui si sviluppa l’embrione.
- “1984” è un altro romanzo imprescindibile per chiunque ami la distopia. L’influenza che quest’opera ha esercitato (e continua a esercitare) nell’immaginario collettivo è nota a tutti. L’autore è stato un vero e proprio profeta nel paventare un “Big Brother” che ci controlla in ogni momento della giornata, infatti “Grande Fratello” è ormai un’espressione idiomatica della lingua comune, a livello globale. Nella distopia orwelliana, ogni individuo è controllato dal Partito, attraverso teleschermi ubicati in ogni dove. Schermi che monopolizzano la nostra vita, dispositivi che mappano ogni movimento… vi ricordano qualcosa?
La distopia orwelliana è un argomento ampio e complesso: il mese prossimo dedicheremo un articolo intero a questo tema. Continuate a seguire lo Stargarden Universe per rimanere aggiornati su tutte le nostre discussioni fantascientifiche.

Altri libri consigliati
Seguendo i miei gusti personali, mi sento di consigliarvi altri due libri meravigliosi.
- Il primo è “Fahrenheit 451” (1953) di Ray Bradbury. Parte da un presupposto davvero terribile per chi, come noi, ama leggere: in questo mondo distopico, i libri sono proibiti. Il protagonista, Guy Montag, fa parte della “milizia del fuoco”, che si occupa di bruciare le abitazioni di coloro che nascondono libri. Ma che cosa contengono questi oggetti vietati dalla legge? Perché i ribelli rischiano di farsi incendiare la casa, pur di leggerli? Quando Montag comincerà a porsi questi quesiti, niente sarà più come prima.
- Un altro libro bellissimo è “Solo il mimo canta al limitare del bosco” di Walter Tevis: lo stesso autore de “La regina degli scacchi”, romanzo da cui è stata tratta l‘omonima serie di successo targata Netflix. “Solo il mimo canta al limitare del bosco” parla di un futuro distopico in cui gli esseri umani, sempre più soli e alienati, sono in balia dei robot. Ogni persona assume, dalla nascita, un mix di psicofarmaci per non avere più la lucidità mentale che le farebbe aprire gli occhi sulla realtà. Il governo è affidato a un androide di nome Spofforth. Eppure, anche in una società così allo sbando, qualcuno sarà in grado di alzare la testa e provare a ribellarsi.
Potrei parlare per ore di romanzi distopici, ma adesso lascio la parola ai lettori che conoscono già il genere: cosa consigliereste a chi si approccia per la prima volta alla distopia? Sentitevi liberi di scriverlo nei commenti.
Generi affini
Categorizzare un libro in un determinato genere è un modo comodo e funzionale per presentarlo al pubblico. Ormai, è una scelta obbligata per autori ed editori. Ecco che nascono categorie, sottocategorie e sotto-sottocategorie.
Bisogna, però, utilizzarle con consapevolezza. Spesso un romanzo non è solo “cyberpunk”, o solo “distopico”. La saga “Starganden”, ad esempio, è un cybernature con molti elementi distopici.
I generi sono sfumati e sovente si intrecciano l’uno con l’altro. Ecco, ad esempio, due categorie di fantascienza che possono sovrapporsi alla distopia:
- Ucronia. Detta anche “storia alternativa”, si basa sul presupposto che i fatti storici da noi conosciuti abbiano subito un corso diverso. È il caso di uno dei miei romanzi preferiti: “La svastica sul sole” di Philip K. Dick, che ipotizza la vittoria della dittatura nazista nella seconda guerra mondiale. È ovvio che la realtà descritta da Dick sia distopica. Però è altrettanto vero che un romanzo ucronico potrebbe anche essere utopico, se la società presentata fosse migliore di quella attuale.
- Post-apocalittico. Per alcuni, il genere “post-apocalittico” è distopico per definizione. Cosa c’è di più negativo, per la società umana, che subire la distruzione totale? Un esempio di questo filone narrativo è la saga “Hunger games” scritta da Suzanne Collins, di cui vi parlerà la nostra Keri in uno dei prossimi articoli. Eppure, ragionando per paradossi, in altre storie i sopravvissuti a un’apocalisse potrebbero dar vita a una società ideale, magari tornando al mito del “buon selvaggio“. Ma queste sono solo sottigliezze…
Qual è il miglior modo per rispondere alla domanda «Che vuol dire distopia?»
Al di là delle sottigliezze, spero di aver fatto un po’ di luce sul concetto di distopia. Etimologia, definizione ed esempi sono un ottimo modo per rispondere alla domanda «Che vuol dire distopia?», ma la cosa migliore è leggere, leggere e leggere. Per fortuna, viviamo in una società in cui non esiste nessuna “milizia del fuoco” che viene in casa nostra a bruciarci i libri.
Ogni romanzo distopico che ho letto ha lasciato in me una traccia profonda. Perché la letteratura distopica ci mette davanti ai demoni della società umana. Ci avverte dei pericoli che potremmo correre, se non cerchiamo di migliorare certi aspetti del sistema.
Una distopia che viene dal passato
Nella saga Stargarden ci sono molti risvolti distopici.
Nel mio romanzo “Dark Eagle“, per esempio, il protagonista Tenebra è un futuristico gladiatore. Il voyerismo tipico della nostra società (pensiamo al “Grande Fratello”, programma che prende il nome dalla distopia orwellina) e l’aggressività serpeggiante in ogni uomo o donna, per quanto civilizzati, mi hanno fatto ideare questa ambientazione. Tenebra si batte nell’arena in scontri all’ultimo sangue, per la gioia feroce degli spettatori, proprio come un lottatore dell’antica Roma. È fortissimo, quasi imbattibile. Ma per quanto potrà ancora sopravvivere, a queste condizioni?
Conoscerete la risposta in “Dark Eagle”, continuate a seguirci per aggiornamenti sull’uscita.
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Buone letture distopiche e, come dice Tenebra, «Ad lucem» a tutti.
Robert
13 pensieri riguardo “Che vuol dire distopia? Etimologia, definizione ed esempi”